L’8 marzo è una giornata che permette ogni anno di riflettere sull’occupazione e sull’imprenditoria femminile nel nostro Paese anche in confronto ad altre nazioni. La disparità di genere caratterizza ancora diversi aspetti del mondo del lavoro italiano, come viene ben sintetizzato dal rapporto di LinkedIn.
Un dato positivo è sicuramente il 51% dei nuovi contratti e assunzioni siglati nel 2022, che riguarda donne. L’occupazione femminile sta lentamente tornando ai livelli pre-pandemia: durante il 2020 circa il 70% degli oltre 440.000 nuovi inoccupati erano donne, secondo l’Istat, anche e soprattutto per l’impossibilità di coniugare necessità familiari e lavoro.
Al momento circa il 46% della forza lavoro impiegata in Italia è costituito da donne. Questo dato è una media, poiché ovviamente l’occupazione femminile varia a seconda del settore.
I settori prettamente a occupazione femminile
Le aree di impiego che vedono una maggiore presenza di donne sono:
- Professioni sanitarie ed ospedaliere: 62%
- Istruzione: 61%
- Amministrazione e servizi: 54%
- Vendita al dettaglio: 53%
- Servizio consumatori: 52%
Mentre rimane bassa la partecipazione femminile ad attività fisiche e ambiti storicamente maschili, quali:
- Costruzioni: 28%
- Estrazione petrolifera e mineraria: 31%
- Trasporti, logistica, catena di approvvigionamento e stoccaggio: 36%
- Manifattura: 37%
Anche in ambito tecnologico – in particolare a quello dell’intelligenza artificiale – la rappresentanza femminile è aumentata ma molto lentamente e in maniera poco significativa: dal 2016 al 2022 le donne in questo settore sono passate dal 36% al 37%.
Donne e lavoro: le posizioni apicali
Fatica a crescere anche la presenza di donne alla guida di aziende, imprese e dipartimenti.
Il grafico presentato da LinkedIn mostra che, malgrado l’Italia abbia una più alta rappresentanza femminile nei ruoli più alti – dovuto anche al grande numero di PMI a conduzione familiare presenti sul nostro territorio – rispetto agli altri Paesi presi in considerazione, questa rappresentanza diminuisca verticalmente man mano che la posizione diventa più prestigiosa.
In media solo il 32% di posizioni apicali è occupato da donne. Se nei ruoli junior l’occupazione femminile raggiunge il 50%, la cifra scende in modo inversamente proporzionale al livello dell’incarico. Questo è dovuto anche alle difficoltà per molte donne di conciliare la vita personale e quella professionale: sono ancora moltissime le denunce per mobbing o licenziamenti a causa di una gravidanza.
Un’altra forma punitiva è il part time obbligatorio per le giovani madri, che lo vogliano o meno, perché è dato per scontato che la responsabilità e la cura quotidiana dei figli ricada su di loro. In modo più subdolo, le donne vengono spesso inquadrate a livelli più bassi rispetto ai colleghi uomini, in modo che a parità di responsabilità, la mansione risulti inferiore e di conseguenza anche la retribuzione.
Sono stati messi in campo strumenti come la certificazione per la parità di genere nelle aziende, ma il nostro Paese deve sforzarsi per un cambiamento culturale e strutturale importante. Le ragioni non sono solo etiche o morali: studi dimostrano che ogni donna che accede al mondo del lavoro genera automaticamente almeno 3 ulteriori posti di lavoro, in parte per il lavoro di cura demandato, con conseguente ritorno sul PIL e sul sistema economico nazionale.
Cambiano le abitudini professionali: la crescita dello smart working
Da notare che in seguito alla pandemia è aumentata la percentuale dei lavoratori che si candidano per posizioni da remoto. Se nel 2021 rappresentavano il 5% del totale, nel 2023 per le donne la percentuale è salita al 13% e per gli uomini al 14%.