Insomma, cos’è il Job Hopping?
È l’abitudine ormai consolidata del frequente cambio di lavoro. Saltare da un’azienda all’altra, da una professione a un’altra, magari da uno stipendio a un altro. Con i conti alla mano, secondo un sondaggio di JobSurvey del 2016, tra i ragazzi tra i 18 e i 29 anni negli USA, il 18% si trasferisce professionalmente ogni 3 anni. Le ragioni indicate sono comuni: il desiderio di avere una retribuzione più soddisfacente, aprirsi nuove possibilità di carriera e un generale desiderio di cambiamento, di crescita. Persino la speranza che, intraprendendo un nuovo percorso professionale, si riducano le condizioni di stress e si possa ricominciare con uno spirito rinnovato.
Job Hopping: dall’America con furore
Questo nuovo trend che caratterizza le attuali dinamiche del mercato del lavoro nasce negli USA, ma ora è pratica comune anche in Italia. All’incirca ogni due anni, i lavoratori tornano in caccia. Un altro studio condotto dall’agenzia HR Robert Half, afferma che il 64% dei lavoratori statunitensi è definibile come job hoppers.
Come mai?
In parte è possibile che il Job Hopping sia frutto del contesto storico attuale, che coincide con condizioni socio-economiche legate a crisi e precarietà.
Sicuramente però, a incidere allo sviluppo di questo fenomeno è stato l’avvento delle tecnologie digitali che hanno facilitato “il passaparola”: ormai non è più necessario dare alla stampa milioni di cv e girare porta a porta per le aziende. Spesso oggi, basta solo cliccare un tasto per mandare la propria candidatura. Pochi secondi per proporre un trasferimento in un’impresa in una qualunque parte del mondo.
Forse proprio per una maggiore dimestichezza con le innovazioni del web, il Job Hopping coinvolge soprattutto i giovani.
Job Hopping: un approccio spontaneo al lavoro
Molti quindi i Millennials che ormai affrontano il loro viaggio lavorativo con questo spirito in continuo movimento. Una ricerca infinita del lavoro platonico. Da un lato è chiaro che questa perenne aspirazione verso nuovi obiettivi, può essere di per sé positiva. Il rischio reale però è che, a volte, si cade in una distorsione prospettica: non sempre una crescita professionale avviene solo se si cambia di continuo.
Tutto positivo quindi?
Non proprio. Facciamo però alcune precisazioni: il Job Hopping ha indubbiamente dei risvolti positivi. Ad esempio, in fase di colloquio, i recruiter potrebbero apprezzare un candidato che mostra di possedere competenze diversificate. L’esser pronti a cambiare in cerca di una condizione migliore può esser percepito come flessibilità: un’ottima soft skill (link interno all’articolo sulle soft skills) per molte aziende.
Attenzione però, allo stesso modo, di fronte a un candidato che cambia di continuo impiego, le aziende potrebbero rispondere con diffidenza. Innanzitutto perché potrebbero vedere le precedenti brevi esperienze come un “saper far tutto senza saper fare niente davvero bene”. In secondo luogo perché, soprattutto ancora in Italia, la fedeltà ai propri datori di lavoro è ancora un valore importante.
E quindi come evitare il vuoto alla scrivania da Job Hopping?
Dato che ormai si tratta di un processo davvero diffuso, è il caso che le risorse umane, trovino una soluzione per limitarlo. In che modo è possibile evitare che i lavoratori scappino e si debba ricominciare da capo tra selezione e formazione, ogni due anni?
Non è poi così difficile: innanzitutto si parta dalla fondamentale valorizzazione dei lavoratori. I talenti che sono già attivi all’interno dell’azienda hanno bisogno di esser messi nelle condizioni migliori. Così da non dover per forza trovare come irresistibile l’impulso a cercare un nuovo impiego con potenzialità di crescita maggiori.
Collaboratore soddisfatto, collaboratore che resta
Evitare che si manifesti con troppa costanza il Job Hopping non è un’operazione che deve esser applicata solo con i dipendenti già inseriti. Se è vero che prevenire è meglio che curare, lo è altrettanto mettere in chiaro tutti gli aspetti più salienti proprio in fase di colloquio. Esser trasparenti sulle possibili prospettive, comprendere dove potrebbero nascere le prime controversie all’interno del gruppo di lavoro o con i capi, è porsi già in maniera attiva rispetto alle motivazioni che in futuro potrebbero portare al Job Hopping.
Job Hopping: quando è un’ossessione e quando invece è un processo naturale?
Se state pensando di cambiare lavoro, ma non siete sicuri che il tutto sia nato da vere cause piuttosto che da un desiderio azzardato, ecco alcune domande alle quali rispondere per avere le idee un po’ più chiare. Nel vostro attuale lavoro, quali sono i pro che mi porterebbero a restare? Quali sono invece le prospettive di crescita che potrebbero riguardare il tuo percorso professionale?
Scendete un po’ in intimità con il vostro “io lavoratore”: quali sono i suoi obiettivi a lungo termine? E perché ancora non ci siete arrivati?
Soprattutto, vale la pena mettere tutto in discussione per rispolverare le proprie capacità? Cambiate lavoro per necessità o per volontà?
Bene: una volta che avete collezionato la vostra lista di pro e contro, è più semplice capire se fare “il salto” del Job Hopping. Perché, ricordate: l’importante nel cambiare è farlo con professionalità!
Simonetta Spissu