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Job sharing, il lavoro è condiviso
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Job sharing, il lavoro è condiviso

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La parola d’ordine è: condivisione. E dopo l’automobile, la bicicletta e l’abitazione, si condivide anche il lavoro. Sta infatti prendendo piede anche in Italia il cosiddetto Job Sharing, una tipologia di contratto a tutti gli effetti che prevede la condivisione tra due o più soggetti della stessa attività lavorativa.
Questa tipologia contrattuale, nata negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta, è molto diffusa in Germania, mentre nel nostro Paese è legittimata con il nome di “contratto di lavoro ripartito” e regolamentata dal 1998 dalla circolare Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 43/1998 e successivamente disciplinato dal D. Lgs. n. 276/2003, art. 41 – 45.

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Si tratta di un contratto di lavoro subordinato che viene stipulato tra il datore di lavoro e due (o più) lavoratori, che si spartiscono il medesimo posto di lavoro dividendosi l’orario di lavoro con l’obbligo di sostituirsi a vicenda in caso di impedimenti.

In cosa il job sharing si differenzia dal contratto part time? Il contratto di lavoro condiviso, innanzitutto, prevede un unico contratto tra due o più lavoratori e il datore di lavoro; la ripartizione del lavoro tra i due co-lavoranti, inoltre, può essere percentualmente diversa e flessibile. I lavoratori sono poi tenuti a comunicare all’azienda con cadenza settimanale la distribuzione dell’orario di lavoro e l’eventuale assenza di uno dei soggetti lavoratori: in questo caso il datore di lavoro può pretendere che l’adempimento dell’intero carico di lavoro sia svolto dall’altro senza corrispondere maggiorazioni per lavoro straordinario. Anche la retribuzione dovrebbe venir calcolata in proporzione al lavoro prestato da ognuno dei lavoratori, ma la legge non si occupa di disciplinare questo aspetto.
Il contratto di lavoro ripartito può essere stipulato da tutti i lavoratori e da tutti i datori di lavoro, a parte la pubblica amministrazione che non lo può proporre.

Le norme che regolamentano questo particolare tipo di rapporto di lavoro sono chiare: il contratto – di tipo subordinato a temine o a tempo indeterminato – deve essere stipulato in forma scritta e deve indicare i nominativi dei lavoratori coinvolti e la percentuale della prestazione lavorativa svolta da ciascuno, anche se il datore di lavoro non si può opporre alla ripartizione del lavoro decisa dai lavoratori.
La suddivisione lavorativa può essere sia di tipo verticale (quindi una settimana o un mese ciascuno) o orizzontale (entrambi si dividono l’orario della medesima giornata); i lavoratori possono scambiarsi i turni di lavoro e sostituirsi a vicenda, ma sono comunque vietate le sostituzioni da parte di terzi, a meno che non siano state concordate con il datore di lavoro.
Un’altra particolarità del job sharing è il destino comune dei lavoratori uniti da questo tipo di contratto in caso di dimissioni o licenziamento: il posto, infatti, viene perso da entrambi i soggetti, anche se l’azienda può chiedere all’altro di trasformare il proprio contratto di lavoro condiviso in una forma di lavoro subordinato a tempo pieno o part time.

Per i lavoratori il vantaggio maggiore di questa formula è quello di avere più tempo libero a disposizione e la possibilità di gestirlo al meglio, dedicandolo magari alla famiglia o allo studio, mentre le aziende che hanno provato a proporre il lavoro condiviso hanno riscontrato maggiore produttività sul posto di lavoro e il calo del fenomeno dell’assenteismo.

Francesca Scarabelli

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