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Lavoro e buoni pasto: a chi spettano, come funzionano, tassazione
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Lavoro e buoni pasto: a chi spettano, come funzionano, tassazione

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Chi di voi riceve dei buoni pasto? Spesso li diamo per scontati, ma ci siamo mai chiesti cosa sono esattamente, a chi spettano, come funzionano e a quale tipo di tassazione sono sottoposti?

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I buoni pasto sono titoli di pagamento che spesso il datore di lavoro corrisponde ai propri dipendenti come servizio sostitutivo della mensa. In poche parole, si tratta di un documento cartaceo o elettronico grazie al quale il datore di lavoro di un’azienda sprovvista di mensa dà la possibilità ai dipendenti di mangiare. Allo stesso tempo, il buono pasto consente agli esercizi commerciali convenzionati di dimostrare alla società di emissione di aver erogato il servizio.

buoni pasto

Pixabay | Lisa870

Ci sono precise regole di utilizzo da rispettare, come anche una normativa aggiornata negli ultimi anni che prevede, tra le altre cose, una tassazione favorevole, con una soglia giornaliera che viene esclusa dal pagamento di contributi e tasse. Ma andiamo con ordine.

Il servizio pasti che spetta ai dipendenti

Il datore di lavoro dovrebbe mettere a disposizione dei suoi dipendenti un servizio pasti, secondo quanto stabilito dalla Circolare Ministero delle Finanze n. 326/E del 23/12/97. Ci sono diverse modalità per farlo, che in base alle esigenze dell’azienda possono anche coesistere, a patto che non vengano fruite dalle stesso dipendente nella medesima giornata lavorativa:

  • con una mensa aziendale, sia con gestione propria che affidata a società esterne;
  • con una mensa esterna, situata in apposite strutture;
  • tramite una indennità sostituiva della mensa, che viene corrisposta in assenza del servizio mensa oppure quando il dipendente decide di non avvalersene.

A chi spettano i buoni pasto?

Possono usufruire dei buoni pasti tutti i lavoratori dipendenti, a tempo pieno o part time, anche nel caso in cui l’orario di lavoro non preveda una pausa per consumare il pasto. Ne possono beneficiare anche i collaboratori che instaurano con il committente un rapporto di lavoro subordinato.
La concessione dei buoni pasto ai dipendenti non è comunque obbligatori: costituisce infatti un cosiddetto fringe benefit, a meno che non sia prevista dal contratto di lavoro collettivo o da una contrattazione individuale.

Come funzionano i buoni pasto

Questi titoli di pagamento possono essere usati per gli acquisti in supermercati, self-service, ristoranti, pizzerie, mercatini e spacci aziendali, tanto per fare qualche esempio.
Il loro uso coinvolge ben 4 soggetti:

  • la società emittente, ossia quella che produce i buoni pasto. Tra i suoi compiti c’è anche quello di controllare la qualità dei servizi offerti dagli esercizi pubblici suoi affiliati;
  • le imprese che acquistano i buoni pasto per offrirli ai propri dipendenti;
  • gli esercizi convenzionati, che ritirano i ticket in cambio del servizio;
  • il dipendente, che ha la possibilità di sedersi a tavola per una (si spera) soddisfacente pausa pranzo.

In breve, quindi, l’azienda o l’impresa compra dalla società che emette i ticket da elargire ai propri dipendenti, che li possono spendere presso esercizi convenzionati, i quali sono comunque tenuti ad emettere uno scontrino o una ricevuta fiscale.
Una volta al mese questi esercizi restituiscono i buoni pasto che hanno ricevuto come pagamento alla società che li ha emessi, a fronte di un rimborso economico pari al valore del buono. A questa cifra, però, viene sottratta una percentuale di sconto definita a priori.

Alcune regole da ricordare

Come ormai sappiamo bene, i ticket restaurant vengono usati come strumento sostitutivo della mensa aziendale. E’ proprio per questo motivo che possono essere usati per acquistare esclusivamente generi alimentari, escludendo quindi qualsiasi altra categoria merceologica.
Va poi ricordato che l’uso dei buoni pasto è consentito solo al titolare e che non possono quindi essere ceduti ad amici o parenti né tanto meno commercializzati.
Infine, quando si usa un ticket bisogna utilizzarne per intero il valore facciale poiché non c’è la possibilità di ottenere un resto in denaro o usare il residuo per una spesa successiva. D’altra parte, se la spesa supera il valore dei buoni pasto, il titolare è ovviamente tenuto a versare la differenza in denaro.

ticket restaurant

Pixabay | aedrozda

Elettronici o cartacei?

I buoni pasto possono essere ottenuti e utilizzati sia in formato cartaceo che elettronico, con alcune differenze. Vediamole!

Buoni pasto cartacei

E’ il classico blocchetto di buoni pasto, che hanno un valore predeterminato. Si possono utilizzare per mangiare presso locali convenzionati oppure per fare la spesa, sempre presso negozi convenzionati. Il numero massimo di ticket utilizzabili in un’unica volta (salvo differenti disposizioni di singoli esercizi commerciali) è di 8. La detassazione di un buono pasto cartaceo può arrivare ad un importo giornaliero massimo di 5,29 euro.

Buoni pasto elettronici

La funzione è la stessa dei “colleghi” cartacei, ma cambia la forma: in questo caso, infatti, si tratta di buoni dematerializzati. In pratica, al posto del blocchetto di buoni avremo tra le mani una specie di carta di credito, che si potrà usare allo stesso modo dei classici buoni pasto.
Nel caso dei buoni pasto elettronici, però, la detassazioni può arrivare ad un importo massimo giornaliero di 7 euro.

Buoni pasto: valore e caratteristiche

Il valore di un buono pasto è attribuito dalla società che li emette e che permette ai clienti di scegliere tra ticket con differenti importi. Di solito si tratta di cifre inferiori ai 10 euro.

Veniamo alle caratteristiche che deve avere un buono pasto, riferendoci ovviamente alla sua versione cartacea. Devono essere indicati:

  • il valore del buono espresso in euro;
  • il termine di utilizzo;
  • la ragione sociale o il codice fiscale sia del datore di lavoro che della società che li emette;
  • lo spazio necessario per apporre la data di utilizzo, la firma dell’utilizzatore e il timbro dell’esercizio che lo ha ritirato;
  • la dicitura “il buono pasto non è cedibile, né cumulabile oltre il limite di 8 buoni, né commercializzabile o convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dal titolare”.

Nel buono pasto elettronico, invece, i dati che riguardano la società di emissione, il datore di lavoro e il titolare sono memorizzati sul supporto usato.

La tassazione sui buoni pasto, cosa sapere?

Anche i buoni pasto sono soggetti a tassazione e contribuzione, ma solo per la parte di importo che eccede 5,29 euro complessivi giornalieri per i buoni pasto cartacei e 7 euro totali al giorno per quelli elettronici. C’è però una eccezione: se i buoni pasto vengono concessi in giorni non lavorativi sono interamente soggetti a tassazione.
Bisogna infine ricordare che il valore dei buoni pasti (salvo casi particolari disposti dai contratti collettivi) non sono considerati retribuzione.

Uso cumulativo dei buoni pasto

La normativa che regolamenta l’uso dei buoni pasto prevede l’uso di un massimo di 8 buoni in un’unica spesa. Una recente nota dell’Agenzia delle Entrate, però, ha specificato che il datore di lavoro non dovrà applicare la tassazione se il valore dei singoli buoni rimane entro i limiti dei 5,29 e dei 7 euro, rispettivamente per quelli cartacei e per quelli elettronici. Ciò significa che se anche venissero usati per un’unica spesa più di 8 buoni non cambierebbe nulla ai fini della tassazione.

La riforma dei buoni pasto

Dal 9 settembre 2017 è entrato in vigore il Decreto 7 giugno 2017 n. 122, pubblicato dal Ministero della Sviluppo Economico. Da quel momento sono entrate in vigore alcune nuove regole, come ad esempio la possibilità di usare fino ad 8 buoni pasto per una stessa spesa. In passato, infatti, era vietato cumularli. E’ tuttavia ancora in vigore il divieto di usarli per acquistare articoli non alimentari o per la spesa settimanale della famiglia. Questa regola è dettata dal fatto i buoni servono a permettere al lavoratore di non rimanere a digiuno sul posto di lavoro, non per comprare beni personali.

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