Il mobbing consiste in continue persecuzioni sul posto di lavoro, messe in atto da colleghi e superiori. Per capire se si è vittima di mobbing è sufficiente osservare alcuni parametri: il cosiddetto “mobber”, cioè il persecutore, tormenta continuamente la sua vittima con calunnie, critiche, rimproveri ingiusti, espressioni maliziose, minacce di violenza e assegnandole mansioni dequalificanti. Queste azioni devono essere ripetute con continuità per almeno sei mesi per essere considerate mobbing. Lo scopo di questo comportamento è sempre distruttivo e volto a indurre alle dimissioni una persona che viene ritenuta “scomoda”.
Ad essere a rischio mobbing sono, inutile dirlo, le persone più sensibili o con un profilo culturale medio alto, per la maggior parte donne. Gli ambienti più a rischio? In genere quello della scuola e le forze armate.
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Cosa fare se si è vittima di mobbing? Per prima cosa è necessario rivolgersi ad un centro mobbing delle Asl locali, che solitamente sono gratuiti anche se i spesso i tempi d’attesa sono piuttosto lunghi, per accertarsi dal punto di vista medico legale che le persecuzioni sul posto di lavoro si configurino realmente come mobbing. Dopodichè ci si può rivolgere ad un avvocato e, nel frattempo, raccogliere quante più prove possibili: mail, documenti, testimonianze. Il danno viene quantificato da un medico legale in base alle tabelle del danno biologico aggiornate del Tribunale di Milano o Roma, valutando caso per caso anche in base ad altri parametri.
Il mobbizzato viene continuamente aggredito in diversi modi, che tendono alla distruzione professionale, sociale e psicologica della vittima, che viene isolata ed emarginata all’interno del posto di lavoro. Gli effetti del mobbing sulla vittima sono spesso devastanti: danni psicologici e psicofisici anche permanenti, sintomi psicosomatici, depressione e, a volte, addirittura il suicidio. In Svezia, ad esempio, il 10-20 per cento dei suicidi sarebbe riconducibile al mobbing. In questo Paese il mobbing è stato dichiarato reato punibile e i suoi effetti sono stati riconosciuti come malattia professionale, ma l’Italia, purtroppo, non è altrettanto all’avanguardia.
La possibilità di vincere la causa di mobbing dipende molto dal giudice, ma bisogna tenere in considerazione che per avere un esito qualsiasi sarà necessario aspettare almeno due o tre anni.
In Italia si calcola che il fenomeno interessi circa un milione di lavoratori, molti dei quali sono già ricorsi in giudizio per le vessazioni subito sul posto di lavoro: alcune sentenze di risarcimento sono già state pronunciate, ma la strada per arrivare al riconoscimento del mobbing come reato e dei suoi effetti come malattia professionale risarcibile è ancora lunga e tortuosa.