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Stipendi in crescita nel 2022, lo studio di Indeed
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Stipendi in crescita nel 2022, lo studio di Indeed

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Alcune settimane fa Indeed e la Banca centrale d’Irlanda hanno pubblicato uno studio che analizza come nel 2022 gli stipendi medi offerti negli annunci di lavoro siano aumentati nell’Eurozona e in quali settori l’incremento sia stato più alto. I dati raccolti però sono così rosei?

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A fine novembre la Banca centrale d’Irlanda in collaborazione con Indeed ha pubblicato la ricerca Wage growth in euro area countries: evidence from job ads che ha analizzato le variazioni negli stipendi proposti negli annunci di diverse categorie professionali, sia in Italia sia nelle altre principali economie dell’Eurozona.
Questa analisi è stata possibile grazie a uno strumento sviluppato da Indeed, il Wage Tracker, che monitora l’aumento degli stipendi ogni mese – laddove il salario è specificato negli annunci sul portale. Questa analisi permetterà di registrare l’andamento dei salari, un elemento molto utile quando si tratta di decidere su questioni che hanno un impatto su tassi di interesse, mercato del lavoro e più in generale sui lavoratori.
Soprattutto, dato il momento di inflazione molto intensa, per verificare se tali aumenti permettano di fare fronte all’incremento del costo di energia e beni di prima necessità che i cittadini europei stanno affrontando. Vediamo i dati raccolti sul 2022.

Aumento delle retribuzioni in Europa e in Italia

Malgrado gli studi generali che attestano che nel nostro Paese gli stipendi sono mediamente tra i più bassi dell’Unione Europea, in alcuni settori si nota dagli annunci di lavoro che c’è stata un’accelerazione nei salari proposti dall’inizio dell’anno. Lo studio riporta come il tasso di crescita medio ponderato è più che raddoppiato, dal 2% del 2021 a oltre il 4% registrato nell’estate 2022, fino alla stabilizzazione del 5,2% raggiunta a ottobre.
Non soltanto sono aumentati gli annunci di lavoro, ma anche i salari, come ha osservato Pawel Adrjan, economista e responsabile delle attività di ricerca di Indeed per l’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa), che ha effettuato lo studio insieme all’economista della Banca centrale irlandese Reamonn Lydon. Secondo Adrjan, molti datori di lavoro stanno ancora assumendo attivamente e gli annunci su Indeed in Italia sono aumentati del 90% rispetto ai livelli pre-pandemia di fine ottobre.

Aumento delle retribuzioni: quali settori sono stati più coinvolti?

Le aree professionali cambiano di paese in paese. Italia sono tre:

  • installazione e manutenzione (incremento dell’8,7%)
  • contabilità (7,4%)
  • infermieristica (6,7%)

L’Italia nel quadro europeo si pone al 4° posto per incremento dei salari, dietro a Germania, Francia e Irlanda, ma davanti a Paesi Bassi e Spagna. La crescita salariale annua italiana media risulta del 4,2%, sotto la media dell’eurozona (pari al 5,2%).

Retribuzione in chiaro: in Italia non si dichiara lo stipendio previsto

Bisogna però considerare che in Italia non è abitudine mettere il salario in chiaro negli annunci di lavoro. Prendendo in considerazione non solo Indeed ma tutti i principali motori di ricerca per il lavoro, meno del 10% degli annunci esplicitano la retribuzione, quindi lo strumento usato per lo studio ha potuto utilizzare una piccola parte delle offerte per quest’analisi.
Di norma nel nostro paese è considerato “maleducato” parlare di compensi prima del secondo colloquio, per diverse motivazioni: per esempio cercare di negoziare condizioni contrattuali più vantaggiose per il datore di lavoro e per timore della concorrenza. La preoccupazione infatti è che i competitor potrebbero usare le informazioni inserite negli annunci di lavoro per “soffiare” i migliori talenti sul mercato.
La preoccupazione inoltre è che la retribuzione in chiaro potrebbe scoraggiare candidati promettenti prima ancora di iniziare il processo di selezione. Tuttavia gli studi sembrano dimostrare che la trasparenza aiuta a snellire i processi di assunzione, quindi sarebbe preferibile indicare almeno una “forchetta” salariale.

l'aumento degli stipendi non corrisponde all'inflazione

Aumento degli stipendi: una buona notizia… ma forse non così entusiasmante

La crescita dei salari è sicuramente un dato positivo, tuttavia, la sua decelerazione negli ultimi mesi potrebbe indicare un segnale preoccupante: «È necessario capire come i salari stiano reagendo all’attuale incertezza economica e all’alta inflazione. Il rallentamento della crescita dei salari suggerisce che i datori di lavoro potrebbero essere molto più cauti con le prossime assunzioni, vista la fase di incertezza che stiamo attraversando», ha affermato Pawel Adrjan.
Da registrare inoltre come questo aumento non corrisponda affatto all’inflazione che la guerra e le altre congiunture economiche negative hanno causato in Italia e in molti altri paesi dell’Unione Europea.
Il quadro italiano in più registra delle problematiche specifiche. Se si mettono a sistema i dati di Indeed con il rapporto Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell’Industria del Mezzogiorno), la situazione sembra subito meno rosea.
Secondo il rapporto, l’anno scorso nel nostro Paese sono stati raggiunti 3,2 milioni di  occupati dipendenti privati impiegati in settori non-agricoli con bassa retribuzione (ossia un salario annuale inferiore a 10.700 euro). I cosiddetti “lavoratori poveri” si distribuiscono sul territorio nazionale per due terzi (2,1 milioni) al centro-nord, rappresentando il 18% degli occupati, e un terzo al sud, dove però questo 1,1 milione rappresenta il 34,3% complessivo degli occupati.

In termini reali, tra il 2008 e il 2021 le retribuzioni lorde si sono ridotte di circa 9 punti al Sud e di circa 3 al Nord.

Il rischio di una spirale inflazionistica salari-prezzi — secondo Svimez — è molto contenuto, tanto è vero che i salari reali sono previsti in calo. Le riforme strutturali degli ultimi decenni hanno creato condizioni mediamente più sfavorevoli agli adeguamenti salariali. A ciò si aggiungono, in Italia, alcune peculiarità del mercato del lavoro che tendono a ostacolare ulteriormente la revisione al rialzo dei salari: l’ampia diffusione dei contratti atipici e, per le forme più stabili di impiego, la lunga durata dei contratti; il riferimento a previsioni di inflazione al netto della variazione dei prezzi dei beni energetici importati; la ridotta diffusione di clausole di rinegoziazione degli aumenti qualora l’inflazione effettiva superi quella programmata.
In più, il 17,5% dei lavoratori a termine nel 2021 – con contratto a tempo determinato o di collaborazione – è impegnato in lavori a termine da almeno cinque anni. Una percentuale che nel Meridione sale al 23,8%, mentre al Nord si ferma al 13%. Non sorprende perciò l’aumento del “lavoro povero”.
Questo rischia di creare 500.000 nuovi poveri, a causa del rincaro dell’energia e dei beni di prima necessità. Più che urgenti quindi sono gli interventi strutturali che permettano di intervenire non solo sugli stipendi ma su tutto il piano economico del Sud Italia, attivando i progetti previsti dal PNRR e lavorando per una base produttiva solida e una maggiore coesione sociale, territoriale ed economica.

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