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UMILTÀ. LA GIUSTA PROSPETTIVA NEL COLLOQUIO DI LAVORO

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UMILTÀ. LA GIUSTA PROSPETTIVA NEL COLLOQUIO DI LAVORO

A volte mi sento dire dai clienti: “Su carta avevo il curriculum migliore, ma dopo il colloquio l’azienda ha optato per un candidato con meno competenze”. Le domanda a cui dare risposta per riuscire alla prossima intervista sono: quali punti di forza ha messo in luce il candidato che è stato scelto? E come avrei dovuto gestire l’intervista per risultare altrettanto interessante? Ti propongo qui un cambio di prospettiva: a volte, più delle skill contano attitudine, commitment e la capacità di farli percepire. In questo senso, può aiutare tenere in mente la parola chiave “umiltà”, che non è modestia. Vediamo in che senso…
ID 92977570 © Ilkercelik | Dreamstime.com

In questo articolo

Da quando siamo bambini, siamo abituati a metterci in vista per quello che sappiamo e le risposte che siamo in grado di dare. Quando siamo a lavoro ripetiamo gli stessi schemi e cerchiamo di approcciare alle relazioni partendo da noi stessi. È normale. Io stesso arrossisco al pensiero del mio approccio pavoneggiante nei miei primi colloqui.

PER FARE UN COLLOQUIO POTENTE NON DEVI METTERTI IN VISTA TU

Con l’esperienza, i manager più senior apprendono che la prospettiva per ottenere un lavoro è precisamente l’opposto: portare l’attenzione ai bisogni dell’organizzazione e sulla nostra potenzialità nel soddisfarli efficacemente.

Elevando il nostro punto di vista in una prospettiva da coach sistemico, dobbiamo spostare il focus prima da “io” a “tu”, e poi guardare anche verso il futuro “noi”.
Non si tratta di dimostrare quanto siamo bravi, ma dimostrare di essere “l’incastro” migliore tra l’organizzazione e le risorse che offriamo.

Il che ci porta a considerare non solo “che” sappiamo fare, ma anche “come” e se questo “come” coincide con lo stile dell’organizzazione, tenendo ben presente l’apparente paradosso per cui il candidato ideale non necessariamente sarà quello con il curriculum più splendente. Se il tuo curriculum lo è, ti invito allora a fare in modo di riuscire a trasmettere altre competenze  .

Ogni processo di coaching, parte dalle risorse a disposizione e con l’individuazione dei punti di forza e delle potenzialità ancora inespresse: guardando alla tua storia personale, sin dall’infanzia, quindi anche al di fuori dell’ambito scolastico e professionale, che doti ti riconoscono gli altri? Rispetto a quali tipi di problemi ti senti di saper dare risposte particolarmente efficaci? Come puoi leggere nel mio articolo sul talento, e come emerge durante un processo di coaching, non è il caso di fermarsi solo a quello che abbiamo imparato in classe, dalla scuola ai master…

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UMILE SEMPRE, MODESTO MAI

I miei clienti e corsisti conoscono un mio motto: “umile sempre, modesto mai”. La modestia qui va interpretata nel senso di darsi poco valore, mentre l’umiltà come la consapevolezza di non essere più speciali degli altri. Come si applica l’umiltà al colloquio di lavoro?

LA TUA PROFESSIONALITÀ E IL TUO STILE “AL SERVIZIO”

Pur consapevoli del nostro valore e del relativo apporto che siamo ragionevolmente in grado di dare, ci proponiamo umilmente al servizio degli obiettivi dell’organizzazione in cui vogliamo entrare.

Un’assunzione è l’integrazione di una persona dentro un gruppo esistente (l’organizzazione nel suo complesso, lo stabilimento, tutti colleghi con cui si entrerà in contatto, il team..). Questo gruppo viene prima di noi ed ha i suoi valori, la sua cultura e il suo stile. Di fatto, se dovessimo dar voce alla domanda profonda che un intervistatore si fa, questa non suonerebbe come “quanto è buona questa persona”, ma “quale persona è quella che, una volta inserita, da un valore aggiunto all’attuale sistema”.

Compreso questo, rispondere alla domanda vuol dire manifestare una forma di umiltà, mostrarsi sì sicuri rispetto alle proprie competenze, ma sospendendo la convinzione che siano proprio quelle giuste per il futuro gruppo di lavoro.

FARE DOMANDE DURANTE IL COLLOQUIO

È importante allora non limitarsi a rispondere, ma con un po’ di coraggio fare domandi oppure usare un po’ di maestria nel far esprimere l’interlocutore. In un contesto in cui le competenze contano sempre meno, quel che conta è “salire a bordo”, ovvero aderire autenticamente al proposito dell’organizzazione con le modalità del futuro gruppo di lavoro.

Tra le altre tecniche, puoi riformulare la richiesta per capire se hai compreso “il bisogno che c’è dietro”. Per esempio, all’indagine sulla conoscenza delle lingue, si può rispondere «…se capisco bene, state cercando risorse in grado di gestire clienti stranieri. Le posso dire che non solo parlo correttamente l’inglese, ma ho fatto diversa formazione all’estero, interagendo con altre culture…».

QUELLO CHE CONTA È IL “COMMITMENT”

Per riassumere, essere umile non significa che non dobbiamo mettere in mostra le competenze, ma, proprio come abbiamo visto per il curriculum, la cosa più importante è trasmettere che abbiamo l’attitudine più richiesta oggi: il cosiddetto “commitment”, la motivazione profonda a condividere gli obiettivi e i valori dell’organizzazione in cui stiamo per entrare. Questo introduce nel colloquio di lavoro un cambio di prospettiva, dall’approccio passivo del candidato che aspetta domande, a uno pro-attivo con un sincero interessamento verso gli aspetti di cui sopra.

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Per approfondimenti, ti consiglio la lettura di un libro di Gian Piero Quaglino, intitolato “Voglia di Fare”. Motivati per crescere nell’organizzazione.

Quello che ti propongo è sperimentare un nuovo punto di vista, in cui le competenze e le abilità non sono la tua forza fondamentale, ma il sostegno alla “promessa” di essere la persona giusta nel gruppo giusto.

Se sei interessato a svolgere degli esercizi mirati o intraprendere un processo di coaching per individuare e rafforzare le tue soft skill, puoi contattarmi qui:

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