L’indagine, che ha coinvolto 400.000 laureati del 2009 a distanza di un anno dalla laurea, svela che cosa succede all’estero: il 48% dei connazionali all’estero dopo un anno dalla laurea possiede già un lavoro stabile con introiti maggiori di chi resta in patria. Si tratta di percentuali destinate a crescere se inserite nel contesto di crisi che ha portato il belpaese a raggiungere negli ultimi tempi un tasso di disoccupazione giovanile prossimo al 30% .Quel che succede all’estero ed il quadro che emerge in Italia mostrano chiaramente quanto sia dalla parte della domanda, che da quella dell’offerta, nel mercato del lavoro si sia giunti in questo momento ad un punto di delicato equilibrio.
Lavorare all’estero, vale la pena?
Al di là dei numeri e della linea di demarcazione tra laureati e non, lavorare all’estero è un’occasione da cogliere che oggi non dovrebbe mancare nel curriculum vitae per svariate ragioniLa lingua in primis. Succede all’estero che i nostri skills linguistici, ancora poveri rispetto al resto d’Europa si consolidino con l’uso quotidiano di un idioma che può essere l’inglese, ma anche lo spagnolo o il tedesco. Tuttavia nel mercato della globalizzazione succede all’estero che anche la propria lingua d’origine diventi essenziale per tutte quelle organizzazioni che hanno interessi in più paesi o che accentrano alcune funzioni in realtà dislocate al centro d’Europa.
Succede all’estero che sia l’organizzazione aziendale che la comunità territoriale supportino in maniera efficiente il candidato nell’acquisire i rudimenti della lingua. Se il datore di lavoro è una realtà aziendale di grandi dimensioni, succede all’estero che il candidato, reclutato in Italia, sia assistito con un una serie di benefit, tra cui proprio il corso di lingua, ed a seguire l’assistenza fiscale e burocratica, un pacchetto economico per rilocarsi, il supporto per la ricerca di un’abitazione etc.
L’esperienza di lavoro all’estero si traduce in un’esperienza di vita
È il confronto con la realtà che ci ospita, che porta alla creazione di una cultura di cittadini europei e di contro ad acquisire apertura mentale e flessibilità, qualità che arricchiscono un profilo anche a livello lavorativo di competenze sempre più ricercate dalle imprese. Succede all’estero che il rispetto delle differenze culturali è forse la prima basilare lezione che si apprende lavorando in ambienti multiculturali già frequentando la mensa aziendale. Cultura della diversità ma anche cultura diversa del lavoro e dell’approccio alle sue tematiche.
Non c’è da sorprendersi e succede all’estero, che anche il modo di relazionarsi all’interno dell’azienda sia vissuto con stile diverso rispetto all’Italia. Succede all’estero, ed è spiazzante nei paesi nordeuropei, che le gerarchie aziendali siano considerate dai lavoratori con noncuranza. È sempre possibile esprimere la propria posizione in relazione alle decisioni aziendali in un confronto aperto tra i diversi livelli dell’organizzazione.
Succede all’estero di contro, di doversi confrontare con una serie di questioni amministrative, dall’interpretazione del contratto di lavoro alle regole fiscali e pensionistiche, dalla ricerca di una casa alla stipula di un assicurazione sanitaria privata, aspetti che vanno considerati attentamente in fase di scelta di una possibile destinazione. Tuttavia succede all’estero, in larga parte d’Europa, che il nuovo assunto trovi una qualità della vita migliore a livello di servizi ed organizzazione sociale, in grado di compensare le rinunce che tale scelta può comportare.